L’attenzione e l’ascolto: come funzionano nell’era del multitasking?

Attenzione e ascolto

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Se hai letto altri articoli del nostro blog (e di seguito te ne suggeriamo un paio correlati) sai che teniamo molto al concetto di ascolto attivo, che riteniamo fondamentale per comunicare con gli altri e, soprattutto, per capirsi.

Il filosofo coreano Byung Chul Han sostiene che il “multitasking” è una modalità ampiamente utilizzata dal regno animale poiché ogni animale, per sopravvivere e proteggersi, è costretto ad avere un livello di attenzione superficiale ma allo stesso tempo ampio, per anticipare i potenziali pericoli e proteggere la prole.

Il filosofo coniava il termine “iper-attenzione” proprio per spiegare questa forma superficiale e frammentata di attenzione dell’essere umano, legata più al concetto di sopravvivere che di vivere.

Ma quanto siamo coscienti di operare secondo questa modalità? E quanto questo incide sulle nostre capacità, sul nostro lavoro e sulla nostra vita quotidiana? Possiamo immaginare la risposta che vi siete dati in questo momento.

Iper-attenzione e ascolto: sicuri che siano compatibili?

Questa modalità di iper-attenzione inficia in modo negativo la nostra capacità di ascolto attivo che, al contrario, richiede presenza, concentrazione, immersione profonda nei concetti espressi dall’altra persona.

Soprattutto dopo la pandemia, i concetti di velocità e frammentazione sono stati esasperati: si dedica sempre meno tempo alle attività, alle persone e il tempo sembra ancora più compresso e frammentato. L’era del multitasking e dell’iper-attenzione ci mettono nella condizione di non sapere ascoltare abbastanza, proprio in un’epoca in cui ne avremmo più bisogno.

Come cambiare rotta? Dilatando e sottraendosi a questo fenomeno dell’iper-attenzione, donandoci il tempo giusto per la relazione con l’altro.

Impariamo a sottrarci a reazioni abituali ormai divenute automatiche in noi, a favore di risposte coscienti basate sulla consapevolezza di ciò che percepiamo, sentiamo, vogliamo. Riusciremo così ad esprimere noi stessi con onestà e chiarezza, prestando contemporaneamente un’attenzione rispettosa ed empatica verso gli altri.

Questa seconda parte del processo di comunicazione, definita da Marshall Rosemberg “ricevere con empatia”, è una comprensione rispettosa di quello che gli altri provano, e richiede presenza e responsabilità. L’empatia ci chiede di svuotare la mente, di resistere all’impulso di dare consigli, rassicurazioni, opinioni personali, e stare semplicemente nell’ascolto attivo delle osservazioni, sentimenti, bisogni e richieste dei nostri interlocutori.

Carl Rogers ha così descritto l’impatto dell’empatia su coloro che la ricevono:
“Quando qualcuno ti ascolta davvero senza giudicarti, senza cercare di prendersi la responsabilità per te, senza cercare di plasmarti, ti senti tremendamente bene. Quando sei stato ascoltato ed udito, sei in grado di percepire il mondo in modo nuovo ed andare avanti. È sorprendente il modo in cui i problemi che sembravano insolubili diventano risolvibili quando qualcuno ascolta. Quando si viene ascoltati e intesi, situazioni confuse che sembravano irrimediabili si trasformano in ruscelli che scorrono relativamente limpidi”.

Iniziamo il nuovo anno con un buon proposito: alleniamoci alla calma, all’attenzione e all’ascolto.

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Foto di Bertrand Borie su Unsplash

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